Che cosa sta succedendo nel mondo musulmano? E’ la prova del fallimento – o dell’inesistenza – della “primavera araba”?
Noialtri “occidentali” abbiamo condannato la fatwa pronunziata nel 1989 dall’imam Khomeini contro il romanziere Salman Rushdie e le violenze perpetrate nel ’94 contro Taslima Naserren nel Bangladesh e Isioma Daniel in Nigeria nel 2002. Nessuno di noi ha dimenticato l’uccisione di Theo van Ghog e le minacce contro la sceneggiatrice Ayan Hirsi Ali nel 2004 in seguito al film Submission, né il clima che condusse nel 2005 alla rimozione dalla Tate Gallery di una scultura di John Latham considerata offensiva nei confronti della concezione musulmana di Dio. Per tacer nel 2006 della maglietta di Roberto Calderoli, che condusse a un assalto contro il consolato italiano a Bengasi al quale parteciparono probabilmente anche alcuni che hanno contribuito giorni fa all’assassinio del console statunitense nella stessa città.
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La prima volta di Obama
Ci sono voluti dieci giorni prima che Barack Obama spiegasse pubblicamente al suo paese le ragioni dell’intervento militare americano in Libia. In un discorso durato poco meno di mezz’ora e pieno di retorica e menzogne, il Presidente degli Stati Uniti ha giustificato l’ennesima aggressione illegale contro un paese arabo con false motivazioni umanitarie, nascondendo a fatica gli interessi imperialistici di Washington e degli alleati europei impegnati nel conflitto.
Di fronte ad un pubblico di ufficiali, alla National Defense University di Washington Obama ha fatto di tutto per minimizzare l’impegno statunitense in Libia. La stessa volontà di non parlare alla nazione dalla Casa Bianca e di evitare la fascia del prime time televisivo ha rivelato le intenzioni del presidente, ben deciso a spacciare l’aggressione alla Libia come un’operazione limitata e il coinvolgimento delle proprie forze armate come ridotto al minimo indispensabile.
Un appello diretto del presidente agli americani era stato richiesto da più parti nei giorni precedenti. In molti tra i due schieramenti politici avevano criticato la decisione di Obama di autorizzare un’azione militare senza il voto del Congresso, come prevede la Costituzione. Non sussistendo alcun pericolo di attacco immediato contro gli Stati Uniti, infatti, la Casa Bianca non avrebbe l’autorità per dare il via libera a una guerra in maniera unilaterale. Obama da parte sua ha sostenuto di essersi consultato con i leader del Congresso prima di ordinare l’intervento, una mossa a suo dire sufficiente alla luce degli obiettivi limitati della campagna militare in Libia.
Il nuovo concetto Strategico
Giochiamo a Risiko
Palestina
Il riconoscimento da parte della Bolivia porta a 106 il numero degli Stati membri dell’ONU che riconoscono lo Stato della Palestina, la cui indipendenza è stata proclamata il 15 novembre 1988. Pur essendo tuttora sotto occupazione armata straniera, la Palestina possiede tutti i requisiti e criteri internazionali necessari per fregiarsi del titolo di Stato Sovrano. Nessuna porzione del territorio palestinese è considerato da alcun Paese (ad eccezione di Israele) come territorio sovrano di un altra Nazione, e persino Israele ha affermato la propria sovranità solo su una piccola porzione del territorio della Palestina, la parte est di Gerusalemme, lasciando la sovranità sul resto letteralmente e legalmente incontestata. In questo scenario può essere d’aiuto considerare la qualità e la quantità degli Stati che riconoscono la sovranità della Palestina.
Dei nove maggiori Paesi al mondo, otto (tutti eccetto gli Stati Uniti) riconoscono lo Stato della Palestina. Tra i 20 Paesi al mondo a maggior densità di popolazione, 15 (tutti eccetto Stati Uniti, Giappone, Messico, Germania e Tailandia), riconoscono la Palestina. Per contro, i 72 Paesi delle Nazioni Unite che attualmente riconoscono la Repubblica del Kossovo come Stato Indipendente, includono soltanto uno dei nove Stati maggiori (gli Stati Uniti) e solo quattro dei 20 Paesi più popolati (Stati Uniti, Giappone, Germania e Turchia)