LA VARIANTE SULTANO

Un film sulla cucina siciliana ma non solo. Un documentario dal taglio antropologico che vede protagonisti gli chef, gli artigiani, gli artisti, gli scrittori, i prodotti della terra coinvolti tutti in una vera e propria opera d’arte a più mani. Un’opera che nasce dallo sforzo e dall’estro collettivo e che si concretizza nel piatto finito. Un Grand Tour all’interno di una Sicilia stratificata, fatta delle diverse dominazioni che si sono succedute e che hanno lasciato tracce evidenti non solo nel dialetto, non solo nelle tecniche di irrigazione o di allevamento, non solo nel carattere, ma anche e, in particolar modo, nelle abitudini alimentari, nelle tecniche di preparazione dei piatti.

Piatti che esprimono l’essenza del territorio, che ricordano la gente di un tempo andato, i profumi e i sapori di una volta suscitando sensazioni sopite ed emozioni dimenticate, coinvolgendo tutti i sensi. Un quadro non è capace di farlo, una scultura neppure, un libro forse … la cucina assolutamente sì.

Immagini che giocano sul concetto di circolarità, immagini che sono metafora della catena alimentare e che si rimandano l’un l’altra, che amplificano il loro senso in questo loro rimandarsi, trasformarsi, richiamarsi.

 

Frank Cornelissen Il vulcano nel bicchiere

Chiedete di lui a Solicchiata (microscopico centro abitato sul versante nord dell’Etna), ormai lo conoscono tutti. Vi indicheranno dov’è casa sua, ma non dove trovarlo. Frank è sempre in movimento. Un personaggio che, dato il contesto in cui è inserito, potremmo definire senza ombra di dubbio “vulcanico”. Non lo trovate? Avete provato da Sandro Dibella? Beh, lui è un amico di Frank e ha un bar. Il bar di paese più strano ed eno-centrico che vi possiate aspettare. E non sarà difficile che qui, inseguendo l’ombra del nostro fantomatico vigneron, possiate curiosamente imbattervi in : 1) produttori naturali della Loira 2) spaesati turisti enogastronomici 3) endemici vecchietti che sorseggiano con disinvoltura uno spumantino di Casa Coste Piane o un Bourgogne di Pierre Morey.

Se anche giocarvi questa carta a nulla è valso (sfortunati!), non vi resta che aspettare al civico 281 della Nazionale, prima o poi la jeep di Frank passerà di li. Mettiamo il caso che riusciste nell’impresa di placcarlo, vi avverto, trovereste di fronte a voi un bizzarro belga che conosce le contrade dell’Etna meglio di un Matusalemme autoctono. Infatti, se cercate qualcuno che vi racconti il territorio, beh , avete trovato pane per i vostri denti: Frank Cornelissen, ha un rapporto col vulcano che stenterete a credere. Tutto ciò è frutto di una sensibilità e di una vivacità intellettiva che non ha paragoni.

Frank è arrivato sull’Etna perché sapeva che in queste terre ed in pochi altri posti al mondo avrebbe potuto realizzare vino come solo lui aveva in mente di fare. I terreni, il clima e le escursioni termiche, la presenza di antiche varietà di vite (spesso in vigne franche di piede), l’incombenza visiva e morale de “La Montagna” (così è chiamato il vulcano dai suoi abitanti), devono essere state attrazioni inimmaginabili per chi come lui è legato con un filo doppio alla natura e al senso del cosmo. Fatto stà che, visti i presupposti, “La Montagna” è diventato il suo parco giochi.

Al momento Frank lavora una decina di ettari di vigna sparsi sul vulcano, appezzamenti vecchi e nuovi impiantati ad alberello, un vero e proprio meltin’ pot ampelografico. Qui, infatti, accanto alle varietà più osannate (Nerello Mascalese e Carricante in primis), troverete le meno note: minnella bianca e nera, grecanico dorato, francisi e chi più ne ha più ne metta. Il tutto corredato dalla volontà di non praticare una coltura mono-varietale che stresserebbe il terreno. E dunque dove è possibile: grano, ortaggi, legumi, alberi da frutto e olivi. Come viene curata, in questo bailamme vegetale, la sacra vigna? Nella maniera più semplice ed accurata possibile, seguendo i passi degli anziani ed una rinnovata armonia con la natura. Il segreto è la cura maniacale nell’assecondare la terra: tutto è eseguito manualmente e nulla di chimico interagisce con i terreni.

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Il tormentato progetto

Doveva rappresentare l’elemento chiave per le operazioni di guerra globale del XXI secolo della NATO, ma l’Alliance Ground Surveillance – AGS, il multimilionario sistema di sorveglianza terrestre, rischia di accentuare le divisioni all’interno dell’Alleanza Atlantica.
Il tormentato progetto che prevede l’acquisto di otto velivoli senza pilota Global Hawk e l’utilizzo di Sigonella (Sicilia) quale principale base di stazionamento e controllo aereo, subisce un nuovo stop con l’inattesa decisione del governo danese di tagliare dal proprio budget della difesa i 50 milioni di euro destinati a cofinanziare lo sviluppo e l’implementazione del nuovo sistema NATO.
La revoca del sostegno danese all’AGS è stata duramente criticata dal Segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen. “L’uscita della Danimarca dal programma di vigilanza terestre NATO invia un segnale errato alle nostre forze e ai nostri alleati”, afferma Fogh Rasmussen. “L’AGS è stato disegnato per far sì che i militari di tutti i Paesi della NATO operino con maggiore sicurezza ed efficacia durante i loro interventi. Il sistema contempla un’ampia varietà di possibili usi, tra i quali quelli di contrarrestare gli attacchi con esplosivi in Afghanistan e combattere le operazioni di pirateria di fronte alla Somalia”.
Anche se il contributo della Danimarca è solo il 3% circa dell’ammontare totale del progetto, c’è forte preoccupazione che altri paesi dell’Alleanza possano seguire Copenaghen sull’onda della complessa crisi finanziaria internazionale e delle difficoltà di bilancio statali. “Il ritiro danese dal progetto potrebbe avere un effetto paralizzante nell’odierno clima finanziario in cui i bilanci della difesa vengono via via ridotti”, ha dichiarato all’agenzia Reuters una fonte interna del Comando militare di Bruxelles. “La NATO sperava di completare il programma prima del vertice di Lisbona del prossimo novembre. Ma le revisioni che potrebbero essere richieste da altri Paesi partecipanti all’AGS potrebbero causare dei ritardi. Se le nazioni restanti non saranno disponibili a coprire il vuoto lasciato dalla Danimarca o ce ne saranno altre che decideranno di seguire i suoi passi, potrebbero essere previsti delle limitazioni e dei risparmi allo sviluppo del programma. Ma è sempre meglio mantenere un 80% delle potenzialità previste che nessuna in assoluto”.
Originariamente, il piano di sviluppo del sistema AGS vedeva associate 23 nazioni dell’Alleanza Atlantica. La scelta unilaterale di Washington, nel novembre 2007, di assegnare l’intera commessa dei velivoli spia e delle stazioni di rilevamento terrestre ad un consorzio costituito prevalentemente da industrie belliche USA e canadesi (Northrop Grumman, General Dynamics Canada, Raytheon e Rolls Royce), fece scoppiare però la rabbia tra alcuni dei principali partner. Belgio, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Grecia e Spagna decisero di ritirare il proprio appoggio finanziario ed industriale all’AGS.

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