Aleksander Dugin e La Quarta Teoria Politica

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Difficilmente le idee vanno verso ovest. Normalmente sono le idee Occidentali a diffondersi ad Est, non il contrario. La Russia, l’erede di Bisanzio, è l'”Est”, fra altri grandi “Est” quali Dar ul-Islam, Cina, India; tra questi, la Russia è la più vicina all’Ovest ma le differenze sono molte. Questa è probabilmente la ragione per cui Dugin, importante intellettuale contemporaneo russo, solo ora prova a fare un passo verso la consapevolezza occidentale.

Alexander Dugin, giovane, elegante, sottile e ordinato, il professore con la barba dell’Università di Mosca, è un idolo nella sua patria; le sue conferenze sono affollate; i suoi numerosi libri parlano dei più svariati argomenti che vanno dalla cultura pop alla metafisica, dalla filosofia alla teologia, dagli affari esteri alla politica interna.

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La rivoluzione del futuro

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Il generale malessere del mondo, la crisi presente in molti paesi europei, la situazione di stallo segnata dai paesi arabi nei quali troppo presto e con scarsa cognizione di causa si era parlato di “primavera”, l’incerto e contraddittorio ritorno di alcune potenze occidentali (segnatamente la Francia) a strumentalizzare i movimenti islamisti, il disagio registrato da quelle che potrebbero venir presentate come “rivolte antifondamentaliste” in Egitto e in Turchia, hanno ricondotto d’attualità presso i media una domanda per molti versi drammatica: non c’è forse ormai bisogno di una rivoluzione per ridefinire gli immensi problemi che ormai si stanno intrecciando fra loro e magari azzerarli e ricominciare? Ma è possibile tale rivoluzione? Ed è possibile che essa si verifichi sul serio in qualche parte del mondo, oppure la realtà globalizzata è tale ch’essa stessa, per riuscire, dovrebbe essere globale? Proviamo, per avviare una risposta storica a tale questione, a precisare alcuni punti.

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Mi domando e mi rispondo

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l’implosione dell’Occidente non è il prodotto di un complotto ma l’evoluzione di un sistema che noi stessi abbiamo creato. Altro che bomba intelligente: «Il crollo di questo apparato coinvolgerà anche quelli che credono di governarlo». Per questo, dinanzi alla crisi economica e al caos causato dallo scontro di civiltà, io prevedo tutt’altro che un exit strategy. Ma uno scenario apocalittico. A meno di una marcia indietro responsabile ma scarsamente probabile in quanto «i nostri reggitori se ne sbattono del collasso e sperano che il “cavallo” faccia qualche passo. Tanto, sperano, moriranno prima della fine e toccherà ad altri pagare il conto…».

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Le elezioni politiche di questo febbraio non faranno che produrre nuovi pesanti debiti.

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Alessandro II, Zar di tutte le Russie, il 3 marzo del 1861 con il “Manifesto per l’Emancipazione dei Servi” pose fine alla schiavitù della gleba in Russia.
Per 23 milioni di Russi, suoi devoti sudditi, resi schiavi per secoli dal feudalesimo della nobiltà russa, tante povere “anime morte”, fu un giorno di grande giubilo.
Tuttavia subito dopo ci si accorse che la tanto agognata libertà era ancora molto lontana.
Infatti le banche dello Zar, per concedere ai servi della gleba i prestiti per pagare quanto dovuto ai padroni della terra riscattata… Le autorità non erano tanto ben disposte verso la massa dei miserabili contadini, praticamente analfabeti, ignoranti e superstiziosi.

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Ma cosa succederebbe se il petrolio – la materia prima che fa girare il mondo – non fosse più scambiato in dollari, ovvero nella più grande riserva valutaria mondiale?

Il biglietto verde, si sa, è la valuta di riferimento per lo scambio delle materie prime nel mondo. Ed è anche grazie a questo motivo che dal 1971 – da quando l’allora presidente Richard Nixon decise di interrompere la convertibilità del dollaro in oro mandando in una notte d’agosto in pensione gli accordi di Bretton Woods del 1944 – gli Stati Uniti continuano adessere la prima superpotenza del pianeta, questo nonostante un debito pubblico e un deficit elevatissimi.

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Rimettersi in discussione, riaprire il giudizio di quel che è stato o su quel che si è stati

Com’è difficile arrivare a dire una parola di verità su se stessi, su quel che si è, su quel che si è stati, sulle proprie azioni, anche a distanza di molti anni, magari dopo mezzo secolo.

Paradossalmente, forse è più difficile farlo mano a mano che gli anni passano; perché, se è vero che il tumulto delle emozioni si placa e la visione d’insieme si allarga, come quando si osserva un quadro a distanza, in compenso subentrano altre dinamiche che si oppongono a una rivisitazione autocritica, prima fra tutte quella guidata dall’istinto di conservazione.

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