Anteporre al diventa ciò che vuoi, il diventa ciò che sei !

La fine dell’uomo come “animale politico” comunitario e la sua trasformazione in individuo anomico e massificato ha un inizio, o comunque un principio di deriva, ben identificabile. Andare alle origini simboliche della sua trasformazione rischia di rimanere un esercizio intellettualistico ed una rappresentazione di vuota saccenteria, per cui può risultare molto più proficuo limitarsi alla considerazione e all’analisi del reale; pur tenendo sempre presente il rischio di risultare parziali, superficiali e a volte addirittura settari. Con il ’68, e il radioso periodo che ha portato al terrorismo e alla disgregazione di ogni legame con la realtà, si è consolidata una mentalità ed una prassi che, pur partendo da lontano, trova tuttora la sua fonte di ispirazione in una presunzione demagogica: Diventa ciò che vuoi! Continua a leggere

Dopo lunga assenza, si riaffaccia tra le persone l’interesse per il sociale

Dopo lunga assenza, si riaffaccia tra le persone l’interesse per il sociale, la condivisione, la ricerca di percorsi e simboli unificanti. I milioni di partecipanti diretti e indiretti a vicende tra loro diverse, come il matrimonio reale e la beatificazione del grande Papa, provano anch’essi, in campi differenti, questo attuale bisogno. La nostra epoca sembra aver esaurito la passione esclusiva per l’individualismo; i cittadini riscoprono il fascino della partecipazione e condivisione.Perfino nell’ambito più intimo delle persone infatti, nei loro sogni, erano già ricomparsi i riti, le comunità, gli altri; prima di queste celebrazioni anche televisive.

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Di che cosa parliamo se parliamo di felicità ?

Di che cosa parliamo se parliamo di felicità. La differenza sostanziale tra il ben-avere e il ben-essere e i passaggi necessari per raggiungerlo.
Bisogna risalire alla seconda metà del ‘700 per trovare le origini del pensiero economico che fa coincidere il «benessere» statistico con il «ben avere», sebbene nello stesso periodo l’illuminista napoletano Antonio Genovesi avesse sottolineato la necessità di una economia fondata sulla ricerca del bene comune. Temi che si ripropongono oggi con grande urgenza e che richiedono l’elaborazione di nuovi codici e regole.

Per concepire e costruire una società di abbondanza frugale e una nuova forma di felicità, è necessario decostruire l’ideologia della felicità quantificata della modernità; in altre parole, per decolonizzare l’immaginario del PIL pro capite, dobbiamo capire come si è radicato.

Quando, alla vigilia della Rivoluzione francese, Saint-Just dichiara che la felicità è un’idea nuova in Europa, è chiaro che non si tratta della beatitudine celeste e della felicità pubblica, ma di un benessere materiale e individuale, anticamera del PIL pro capite degli economisti.

Effettivamente, in questo senso, si tratta proprio di un’idea nuova che emerge un po’ ovunque in Europa, ma principalmente in Inghilterra e in Francia. La Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 degli Stati Uniti d’America, paese in cui si realizza l’ideale dell’Illuminismo su un terreno ritenuto vergine, proclama come obiettivo: «La vita, la libertà e la ricerca della felicità».

Nel passaggio dalla felicità al PIL pro capite si verifica una tripla riduzione supplementare: la felicità terrestre è assimilata al benessere materiale, con la materia concepita nel senso fisico del termine; il benessere materiale è ricondotto al «ben avere» statistico, vale a dire alla quantità di beni e servizi commerciali e affini, prodotti e consumati; la stima della somma dei beni e dei servizi è calcolata al lordo, ossia senza tenere conto della perdita del patrimonio naturale e artificiale necessaria alla sua produzione.

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Sull’autenticità del fallimento

Ciò che conta, nel nostro mondo, è il successo, la vittoria, l’egemonia sull’altro: viviamo in un universo individualistico, e ci illudiamo che i meriti siano il frutto di nostre virtù, 16-individualismomentre il Caso muove sovrano le corde delle nostre esistenze. Ma nel momento della vittoria non ci è dato alcun destino, ossia legame e connessione nascosta: il sapere di sè,  il sapersi uomo, avviene solo nella dimensione del fallimento e della ricerca continua.Pensiamo al celebre Edipo: accecato dal potere, non riesce a vedere la verità del parricidio e dell’incesto di cui egli stesso è l’artefice; solo quando si svincola dalle lusinghe del potere, conquista quella verità che non gli potrà più essere strappata. Egli svela, al tempo stesso, la contraddizione dell’essere umano che, giunto al limite del sapere, si trova di fronte al buio del nulla e, una volta penetrato nel buio, qui vi scopre quella verità autentica che ha origine dal patos del mondo, dal patimento.Solo nel momento negativo, dunque, si scopre di essere non nel mondo, ma del mondo: la nostra caducità si scopre in tutta la sua meravigliosa contingenza.Il vincitore si illude di vivere in una dimensione eterna; lo sconfitto, consapevole della propria temporalità, si predispone ad agire sapendo di non aver mai ragione, ma di vivere sempre nella relatività. “I miei fallimenti sono le mie speranze”, dicevano i Romantici, e nella tragicità si rivela tutta la loro umanitas.