Il caso Sarrazin

Ad essere sinceri, ci sembra strano che la tempesta sia scoppiata così tardi; che la caccia alle streghe di chi sostiene delle posizioni in contrasto con l’attuale Pensiero Unico – globalizzato, multietnico, multiculturale, multireligioso – sia incominciata solo ora; perché le condizioni esistevano da almeno vent’anni, a dire poco.
Il membro del direttivo della Bundesbank ed ex ministro regionale delle Finanze di Berlino, Thilo Sarrazin (antenati francesi e anche italiani) ha gettato il sasso nello stagno e ora si è scatenato il pandemonio, con mezzo governo tedesco che reclama la sua testa e le associazioni di immigrati che gridano al razzismo, mentre l’ineffabili Consiglio centrale delle comunità ebraiche tedesche lo accusa di antisemitismo per aver sostenuto che ogni popolo, Ebrei compresi, è portatore di un particolare gene, che lo distingue da tutti gi altri (e ha citato, come esempio analogo, quello dei Baschi).
Ma la tesi centrale del libro di Sarrazin, «La Germania si distrugge da sola. Come mettiamo a rischio il nostro Paese», è che egli non vorrebbe che «il Paese dei miei nipoti e pronipoti diventi in gran parte musulmano, nel quale si parli prevalentemente turco e arabo, dove le donne portano il velo e il ritmo della giornata è scandito dai muezzin. Se voglio questo, posso prenotare una vacanza in Oriente»; che «ogni società ha il diritto di decidere chi vuole accogliere ed ogni Paese ha il diritto di salvaguardare la propria cultura e le sue tradizioni. Queste riflessioni sono legittime anche in Germania ed in Europa»; che non vorrebbe «che noi diventassimo stranieri in patria»; e, infine, che «il confine geografico e culturale dell’Europa va chiaramente tirato sul Bosforo e non al confine della Turchia con l’Iraq e l’Iran».
In una intervista alla rivista culturale tedesca «Lettre International», Sarrazin ha aggiunto: «I turchi e gli Arabi che abitano a Berlino vivono grazie agli aiuti dello Stato tedesco ma non fanno alcuno sforzo per integrarsi, guardano al Paese che dà loro lavoro e benessere con ostilità, non si occupano ragionevolmente dell’istruzione dei propri figli, non svolgono alcuna attività produttiva se non quella di vendere frutta e verdura e di produrre incessantemente bambine velate. Questo vale almeno per il 70% dei Turchi e il 90% degli Arabi che vivono a Berlino. Prima o poi questa gente conquisterà la Germania esattamente come i Kosovari hanno conquistato il Kosovo: grazie a un alto tasso di natalità.»
Sarrazin, che si vede ora minacciato di espulsione non solo dalla Bundesbank (cosa che richiederebbe però un intervento diretto del Presidente della Repubblica, fatto inaudito e mai accaduto prima), ma anche dal suo stesso partito politico, la socialdemocrazia, ha aggiunto di considerare benvenuti quegli immigrati che desiderano sinceramente dare il proprio contributo alla crescita civile e culturale tedesca; mentre gli altri, che sono la grande maggioranza, «se ne possono anche tornare a casa».

Continua a leggere

l’Iraq va verso una guerra civile

Adesso gli abitanti di Falluja, la città sunnita che più si battè contro gli invasori americani, sono terrorizzati perché le truppe Usa se ne vanno. Come si spiega questo paradosso? Con un altro, per capire il quale bisogna fare qualche passo indietro. È dal 1979, da quando la rivoluzione khomeinista abbatté il loro alleato, lo Scià di Persia (un feroce dittatore di cui però i rotocalchi occidentali davano un’immagine patinata, occupandosi delle eterne vacanze sue e delle sue mogli, Soraya, Farah Diba, facendo finta di non vedere che, nel frattempo, il 98% della popolazione moriva di fame, cosa che nel detestato «regime degli ayatollah» non avviene) che la politica americana è ferocemente antiraniana. Nel 1980, quando Saddam Hussein aggredì l’Iran, gli americani non batterono ciglio; si limitarono, come gli altri Paesi occidentali, a rifornire di armi entrambi i contendenti perché potessero ammazzarsi meglio. Intervennero nel 1985 quando l’esercito iraniano, tecnologicamente inferiore a quello iracheno, dopo inenarrabili sacrifici era davanti a Bassora e stava per prenderla. Intervennero per «ragioni umanitarie», naturalmente. Non si poteva permettere, dissero, alle «orde iraniane» di entrare a Bassora, sarebbe stato un massacro (gli eserciti altrui sono sempre «orde» o «terroristi»). Cominciarono quindi a rimpinzare Saddam di ogni genere di armi, comprese quelle chimiche.
Risultati dell’«intervento umanitario»: 1) La guerra, che sarebbe finita nel 1985, durò altri tre anni e il bilancio passò da 500 mila a un milione e mezzo di morti; 2) Gli iraniani non poterono inglobare la parte sciita dell’Iraq, come frutto della loro vittoria, che gli era stata scippata, e come è giusto e naturale che sia perché si tratta, dal punto di vista etnico e religioso, della stessa gente; 3) Saddam, che con la presa di Bassora sarebbe caduto come una pera cotta, si ritrovò invece in sella e pieno di armi. Cosa fa una rana con sul groppone un grattacielo di armi? Le rovescia sul primo posto che capita. Saddam invase il Kuwait. E fu la prima guerra del Golfo, formalmente legittima perché era stato invaso uno Stato sovrano (per la verità il Kuwait è un’invenzione degli americani, del 1960, ad uso dei loro interessi petroliferi). Ma che costò, per i forsennati bombardamenti degli americani, che non ebbero il fegato di affrontare fin da subito l’imbelle esercito iracheno, la morte di 158 mila civili (86.164 uomini, 39.812 donne, 32.195 bambini – dai del Pentagono). Poi venne la seconda guerra del Golfo che perse per strada tutte le sue motivazioni (le armi chimiche Saddam non le aveva più, le aveva usate sui curdi e sui soldati di Khomeini) per cui rimase solo quella che gli americani erano in Iraq per portarvi la democrazia. E in effetti, al prezzo di 750 mila morti, infinitamente di più di quanti ne avesse fatti Saddam in 30 anni di dittatura), una parodia di democrazia è stata instaurata in Iraq ma poiché la maggioranza della popolazione è sciita gli americani hanno, di fatto, consegnato buona parte dell’Iraq agli iraniani che sono confratelli di quelli iracheni. Così quello che l’Iran non aveva ottenuto nel 1985 col suo legittimo successo sul campo di battaglia, un quarto di secolo dopo se lo vede regalato involontariamente proprio dagli americani (sono i boomerang di tutte le guerre americane degli ultimi anni, dalla Serbia all’Afghanistan). In quanto ai sunniti e agli sciiti iracheni, si odiano mortalmente (solo una dittatura feroce come quella di Saddam poteva tenere insieme due comunità così ostili) e i sunniti temono, giustamente, di essere vittima, dopo la partenza degli americani, di ogni sorta di malversazione. La conseguenza più probabile è la guerra civile. Un altro bel colpo yankee.

Hutagawa Hiroshige

Le opere di Utagawa Hiroshige (1797-1858), artista capace di contemplare ed esprimere la natura nel suo lato piu’ armonico, ancora oggi veicolano il messaggio di una intensa capacità di ascolto religioso che accomuna i sentimenti dell’uomo al respiro del cosmo, avvicinando l’infinitamente piccolo allo sconfinatamente grande.