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IL BUSINESS NASCOSTO SOTTO LA MACCHIA DI PETROLIO DI BP
DI MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net
Nella rubrica di oggi potevo parlarvi di Borsa, volatilità, crisi del debito, collocazione di bonds governativi e quant’altro: lo abbiamo fatto fino a oggi, riprenderemo a farlo dalla settimana prossima.
Quest’oggi parliamo della marea nera scatenata dal guasto all’impianto di British Petroleum nel Golfo del Messico, una tragedia ambientale che da settimane riempie pagine di giornali e le headlines dei principali tg. Per una volta non sembrano esserci dubbi nell’identificazione di buoni e cattivi: i primi sono i dirigenti della Bp, il secondo è Barack Obama che, dopo aver promesso di prendere a calci nel sedere i responsabili e passato ore a parlare con i pescatori della Louisiana, ieri ha mostrato una faccia ancor più dura.
I vertici dell’azienda petrolifera britannici, infatti, sono stati accolti con freddezza glaciale alla Casa Bianca e nonostante abbiano dato l’ok all’esborso di 20 miliardi di dollari per ripagare i danni causati, si sono sentiti rispondere dal numero uno della Casa Bianca che quella cifra «non rappresenta il tetto massimo». Ovvero, preparatevi a scucire molto altro denaro, ormai siete sotto scacco non mio ma dell’intero pianeta che vi odia a morte.
Sembra il film “Wag the dog”, una creazione mediatica straordinaria. Sono bastate, infatti, le immagini di quattro pennuti con le ali impiastrate di greggio e tre interviste ad altrettanti esperti pronti a proclamare la morte dell’oceano, per chiudere completamente gli occhi del mondo al molto altro che sta dietro alla vicenda che vede prootagonista la piattaforma Deepwater Horizon.
Lasciate stare che il paladino del mondo, ovvero Barack Obama, non più tardi di quattro mesi fa aveva autorizzato trivellazioni offshore anche nel “giardino delle rose” della Casa Bianca per non dipendere più dalla bizze ricattatorie dell’Opec e della speculazione otc sui futures, salvo ora trasformarsi nel Fulco Pratesi di turno, il problema è altro: che quell’incidente sarebbe accaduto lo si sapeva da mesi e mesi, era questione di tempo. Anzi, di timing visto che le implicazioni sono anche – e forse soprattutto – economche e finanziarie: prima delle quali, uccidere Bp, renderla scalabile e ottenere a prezzo di saldo le sue attività estrattive.
Cominciamo dal principio. La Deepwater Horizon, carta canta nei documenti ufficiali, è stata classificata fin dall’inizio della sua attività un progetto potenzialmente soggetto ai cosiddetto “low probability, high impact event”, classificazione che vede tra gli altri incidenti occorsi l’11 settembre, l’esplosione dello Shuttle e l’uragano Katrina: come per questi casi, l’ipotesi di “worst case scenario” è stata completamente ignorata. Con dolo o meno, lo scopriremo dopo.
Wikileaks e le stragi ingestibili
La strage indiscriminata compiuta dal cielo sopra Baghdad non sembra perdersi nel grande e indistinto bagno di sangue mesopotamico. Stavolta si nota subito che quel che vediamo è insolito. Incontriamo da vicino il punto di vista sbrigativo e crudele degli occupanti statunitensi, sentiamo le loro parole irridenti mentre demoliscono ogni ipocrisia sulle “regole d’ingaggio”. Merito di Wikileaks, un sito che fa trapelare molte verità scomode, con una cadenza ormai così fitta da spingere il Pentagono a brigare per chiuderlo: il web è un fronte primario della lotta fra guerra e verità.
E mentre il giornalismo alla «Washington Post» vive ancora della rendita d’immagine del Watergate, uno scoop di oltre trent’anni fa, Wikileaks in tre anni di vita ha inanellato una serie impressionante di rivelazioni. In genere si tratta di dossier confidenziali ben documentati e sottoposti a preliminare verifica da parte di centinaia di collaboratori. Fra gli scoop: il ruolo della banca svizzera Julius Baer nel riciclaggio internazionale, il manuale delle procedure a Guantanamo, i negoziati segreti sul trattato dei diritti d’autore, i dettagli su Scientology, i retroscena del crac finanziario islandese, ecc. E ora lo “snuff movie” dell’invasione irachena.
Le fonti delle notizie trapelate sono i cosiddetti «whistleblowers». La parola non ne ha una che combaci nella nostra lingua. Letteralmente sarebbero coloro che fischiano e lanciano un allarme per via di una condotta illegale o minacciosa di un’organizzazione di cui fanno parte. Si tratta di funzionari, avvocati, impiegati, o anche semplici cittadini che si trovano fra le mani informazioni sensibili e decidono di farle conoscere. Nel farlo rivestono un ruolo misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”, mentre Wikileaks assicura loro un totale anonimato attraverso un sistema di codificazione dei dati. Una comunità di circa 800 giornalisti, informatici, matematici e attivisti cerca i riscontri alle informazioni e infine le pubblica sul sito.
Ovviamente siamo abbastanza grandicelli per comprendere come un tale sistema possa servire a certe cordate dei servizi segreti in lotta fra loro per guidare i meccanismi dell’informazione, con rivelazioni strategiche.