Una mela al giorno… e i pesticidi per contorno

Il Comitato per il diritto alla salute in Val di Non denuncia la diffusione di pesticidi nelle zone residenziali adiacenti ai frutteti. La soluzione migliore, sia per gli abitanti che per i consumatori, sarebbe quella di adottare l’agricoltura biologica.

C’è un’area nel Nord Italia dove, su una superficie coltivata di circa 6500 ettari, dal 15 settembre fino alla fine di ottobre si raccoglie il 15% di tutta la produzione italiana di mele, oltre 300 mila tonnellate, più di un miliardo e mezzo di frutti ogni anno. È la Val di Non, in Trentino, dove la coltivazione intensiva di mele è il pilastro portante della propria economia. Un’area geografica che ha fatto della sua vocazione agricola un vero e proprio capitale, intorno al quale gravita, in maniera diretta o indiretta, il 60-70% degli abitanti.

«Ma i problemi non mancano» sottolinea il Comitato per il diritto alla salute in Val di Non1, sorto nel 2007 per contrastare la diffusione nell’ambiente di residui di pesticidi utilizzati proprio nella coltivazione delle mele. «La maggior parte di case, orti, giardini, strade, aree sportive e ricreative è a stretto contatto con i frutteti, dove numerose volte l’anno vengono irrorati pesticidi che permangono nell’ambiente per diverso tempo ed entrano anche nell’organismo di chi quelle zone le abita. Abbiamo raccolto oltre mille firme di residenti preoccupati che chiedono alla giunta provinciale monitoraggi costanti e rigorosi, applicazione di leggi e regolamenti, oltre a misure concrete per ridurre l’esposizione della popolazione. Esposizione che a nostro avviso c’è e a livelli per nulla rassicuranti, stando ai risultati dei test che abbiamo commissionato sui campioni di polveri e prodotti orticoli raccolti presso le nostre abitazioni. Le analisi sono state effettuate nel 2007, nel 2008 e nel 2009 e abbiamo potuto constatare che la situazione è andata peggiorando»…