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Demagogia
1. Uscita dell’Italia dalla NATO (e conseguente smantellamento di tutte le basi americane in Italia);
2. Ricostituzione delle Partecipazioni Statali (quelle smembrate all’inizio degli anni ’90 dalla cricca Amato-Ciampi-Draghi-Prodi);
4. Nazionalizzazione della FIAT;
5. Messa al bando di tutte le logge massoniche di ogni ordine grado (veri tentacoli dell’imperialismo americano in Italia).
A questi cinque punti se ne potrebbe aggiungere un sesto, di politica estera, quella politica estera che è la pietra miliare di ogni autentica sovranità nazionale: accordi di partenariato strategico con i seguenti paesi, Iran, Siria, Russia, Cina, Turchia, Venezuela, Brasile, Nicaragua, Bolivia e Cuba.
Il morto e gli sciacalli
Prima, perché la morte è, come ogni processo biologico, la grande livella che accomuna tutti i viventi di questo pianeta — tocca a tutti, prima o poi, e augurarla a qualcuno o gioirne una volta avvenuta è indice di estrema pochezza. Personalmente, trovo assai più creative le maledizioni in stile Alex Drastico o l’insuperabile (per me) “puozze passa’ nu guajo niro” partenopeo, con quella sua indefinitezza cupa che sgombra il campo a ogni e possibile tragedia.
Poi, perché la colpa (anzi la Colpa, con la maiuscola) di Taricone sembra essere stata la contiguità con un raggruppamento “fascista”: e qui entra in gioco il meccanismo perverso della responsabilità collettiva, che definirei volentieri “sindrome di Norimberga” se non ci fossero illustri precedenti:
“Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinanzi a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento, cento di voi ne inseguiranno diecimila e i vostri nemici cadranno dinanzi a voi colpiti di spada.”
Levitico, 26:7-9
I volti della Mavi Marmara
Non so se qualche sito o blog italiano abbia già pubblicato le foto degli şehitler, i “martiri” per usare la traduzione comune, della Freedom Flotilla. Ne ho recuperata qualcuna dai mediaurchi.
Intanto vale la pena riflettere su questo: persino il fatto che i turchi abbiano usato il titolo di şehit per i loro morti, viene loro ritorto contro. L’Italia è uno dei paesi meno religiosi del mondo, e quindi è inconcepibile quanto avviene di norma in una società diversa, dove i riti non sono semplicemente un’esperienza di conformismo sociale.
In questi giorni, c’è stato un astuto gioco semantico. Si è detto che i partecipanti della Freedom Flotilla “si dichiaravano pacifisti”. Poi si è data una definizione un po’ particolare di “pacifista”: una persona che non si schiera da nessuna parte; se aggredita, non si difende; e accetta le imposizioni dell’esercito israeliano e quindi lo stesso assedio a Gaza.
Curiosamente, le stesse cose più o meno che si ci aspetta dal prete cattolico, che deve celebrare i funerali tanto della vittima quanto del carnefice.
Quelli della Freedom Flotilla non erano affatto persone così: ecco quindi che nei media, diventano pacifinti, pseudopacifisti o persino terroristi.
A tali muslimaniaci, adesso contrappongono i “veri pacifisti,” quelli della piccola Rachel Corrie. Sottolineando magari che i buoni sono europei (in realtà erano in buona parte malesiani). Persino Netanyahu, che sulla coscienza ha una fila di morti lunga un chilometro, spiega al mondo che è così che devono fare i pacifisti.
Quelli della Rachel Corrie in realtà erano una ventina di persone, per metà giornalisti, che hanno fatto benissimo a subire l’attacco dei pirati e il furto del loro carico senza reagire. Diciamo furto perché il carico comprendeva, volutamente e provocatoriamente, una gran quantità di materiali – tra cui carta e penne per i bambini – di cui Israele vieta l’ingresso a Gaza. E che verrà quindi sequestrato, si presume. O se invece passerà, passerà solo perché c’è stata la violazione dell’assedio.
I passeggeri della Freedom Flotilla erano dichiaratamente di parte: una delle associazioni che partecipava all’organizzazione era Mazlum-Der, l’Organizzazione per i diritti umani e la solidarietà con i popoli oppressi. Erano, alcuni, propensi a difendersi se aggrediti da pirati in alto mare. Mica solo i musulmani:
L’ex marine, Kenneth Nichols O’Keefe è giunto a Istanbul da Tel Aviv, sulla via per l’Irlanda, con il viso coperto da ecchimosi, secondo l’agenzia. «Abbiamo bloccato tre soldati dei commando israeliani. Ci hanno guardato…Hanno creduto che volevamo ucciderli, ma li abbiamo lasciati andar via», ha raccontato, aggiungendo di aver preso l’arma di uno dei militari per scaricarla. ÒKeefe, reduce della guerra del Golfo del 1991, ha detto di aver subito maltrattamenti durante la detenzione in Israele, in particolare di aver ricevuto colpi in testa, secodno Anadolu (ANSA, 4.06.10, ore 20.22)
E tutti partivano con l’idea di violare l’assedio israeliano, portando a Gaza materiali proibiti, e sapendo di rischiare la vita.Però nessuno di loro è partito con il proposito di usare la violenza. Tutti sono stati perquisiti accuratamente con il metal detector quando sono saliti a bordo. Hanno agito in pace e per la pace, senza per questo essere “pacifisti” nel senso mediatico.A sinistra (ma la disposizione dipende un po’ dall’impostazione del browser), Furkan Doğan, 19 anni, studente e cittadino statunitense, ucciso con quattro proiettili in testa e uno al petto; al centro, Ali Haydar Bengi, 39 anni; a destra, Cengiz Songür, padre di sette figli.A sinistra, il giornalista Cevdet Kılıçlar, ucciso con un colpo alla testa; a destra, Çetin Topçuoğlu, già campione europeo di taekwondo.