Le direzioni della Democrazia

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I popoli hanno imparato ad accettare i capi fin dalla notte dei tempi, ma per evitare le loro degenerazioni hanno introdotto limitazioni al loro potere assoluto. I re, che passavano la loro carica ai figli, stanno scomparendo, e i presidenti delle maggiori istituzioni restano in carica solo pochi anni e possono essere giubilati anche anzi tempo. La scelta delle persone a cui dare il potere viene oggi fatta dal popolo, il quale misura la sua forza con una specie di tiro alla fune: le elezioni.

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Perché questa libertà non è tale ?

Dimenticata  – la storia, il passato – e i valori che porta con sé, distrutto a colpi di materiale tutto quanto di spirituale vi poteva essere nella vita dell’uomo, non è rimasto che la possibilità di vivere l’immediato, senza curarsi di altro.In altre parole, rimosso il passato dimenticandolo come inutile, e pensando al futuro come una cosa vana e troppo ignota da poterla anche solo sperare, l’unico spazio di manovra nel quale operare è il presente, unicamente il presente, peraltro svincolato da qualsivoglia legame o destino. Il che significa – insieme al fatto di poter pensare che non proveniamo da nulla e non andiamo verso nulla, e che dunque nessun legame abbiamo con chi c’era prima di noi e con chi ci sarà dopo di noi – libertà assoluta. Apparente.

Perché questa libertà non è tale, e vedremo perché e come. . L’aggravante risiede nel fatto che pensiamo di godere di una libertà assoluta proprio perché il nostro mondo non riconosce più alcuna cosa che non sia l’individuo e il momento presente, senza nessun legame con il prima e il dopo, oltre che con chi ci circonda e con la terra sulla quale viviamo – e ci sentiamo dunque assolutamente liberi – mentre allo stesso tempo ci indica per filo e per segno come spendere questa nostra presunta libertà. In pratica, una libertà coatta.

Il meccanismo è diabolicamente perfetto: avendoci svuotati di ogni senso, sia personale sia comune, avendoci tolto l’idea della provenienza e la possibilità di pensare consapevolmente al dopo, avendoci apparentemente liberato dai limiti, la nostra società ci ha dapprima dissanguato di tutto, per poi indicarci le modalità per sopperire al vuoto. Ingannandoci: perché ciò che ci facciamo infilare nelle vene per colmare il vuoto di senso che sentiamo, l’inutilità con la quale trascorriamo le nostre giornate, in una parola l’immensità di questa finta libertà goduta, non serve a colmare la lacuna. Se non a tempo. Il tempo di arrivare alla cassa. Qualche minuto oltre, per poi sentire nuovamente il vuoto e dunque la necessità di tornare a prendere una altra dose. E poi ancora una. E poi ancora una. All’infinito.

Ma il discorso è ancora più ampio, perché se da una parte avvertiamo il disagio e il malessere di questa finta libertà che in realtà non riusciamo a governare temporaneamente se non con i mezzi che ci impongono di usare, ebbene mettere invece a fuoco i motivi stessi di questo malessere, e capire a fondo i meccanismi distorti e inutili (e utili a pochi, ovvero a chi ha interesse che rimaniamo in tale condizione, in altre parole ai pusher) può servire per togliersi dal giogo dello strozzino di turno. Almeno combattere e provarci.

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Popoli “progrediti”

La società contemporanea si basa sulla convinzione che l’uomo possa dominare la natura grazie alle sue facoltà razionali. Esiste tuttavia una profonda differenza tra razionalità e intelligenza. La razionalità è solo una componente dell’intelligenza umana, riflesso, quest’ultima, di qualcosa di più vasto e di più alto, che permea la vita in ogni sua manifestazione.
È attraverso l’intelligenza che l’essere umano avverte e comprende la dimensione del sacro. Parte essenziale dell’intelligenza umana è la sensibilità, ossia quella facoltà che ci permette di ritrovare, come ogni altra specie, la sintonia con i ritmi profondi della natura e di intuire ciò che non può essere razionalmente spiegato.
L’intelligenza ha a che fare con la totalità e, quindi, con l’armonica presenza, in ognuno di noi, del principio maschile e del principio femminile: nell’intelligenza coesistono tanto il momento passivo dell’ascolto e del silenzio, quanto il momento attivo della scelta e dell’intervento. Questo significa anche che l’intelligenza partecipa della dimensione collettiva, in cui ciascuno si riconosce come parte di qualcosa di più vasto e partecipa alla trama della vita nella sua interezza, fatta di modelli, archetipi e simboli, da un lato, di cicli, suoni e ritmi, dall’altro.
La razionalità è, invece, la capacità di elaborazione logico-matematica e di previsione a partire dai dati acquisiti con l’esperienza. Essa è espressione solo parziale dell’individuo ed è determinata da una serie di condizionamenti, fra cui spicca quello sociale. Aver attribuito alla razionalità un valore talmente elevato da farne l’unica guida dell’attività umana, ha comportato una serie di gravi conseguenze. Innanzitutto, si è verificata la rottura dell’intima relazione esistente fra umanità e natura; si è assistito alla perdita, da parte dell’individuo, del senso immediato di appartenenza alla più ampia comunità naturale; infine, si è imposta una misura del valore dell’individuo basata sul concetto di utilità, nei confronti di una società umana “razionalizzata”.
Può così instaurarsi un rapporto di dominanza, che continuamente si produce, dell’artificiale sul naturale, del materiale sullo spirituale, dei popoli “progrediti” sui popoli la cui cultura continua a basarsi sull’integrazione dell’uomo con la natura.

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