La guerra di Bosnia

Si infittiscono ormai da qualche tempo gli interventi di quanti sono lieti di avallare le tesi “ufficiali”, per cui la guerra di Bosnia fu la follia di “psicopatici nazionalisti” (Radovan Karadzic, il poeta pazzo in primis, e si sa che tra poeti ed acquarellisti la differenza è poca …), oggi finalmente a giudizio grazie alla caparbietà di pochi magistrati coraggiosi (vedi Carla Del Ponte, che ha pure scoperto gli orrori della “casa gialla” in Kosovo, “Oh my God!”).
Tra questi articoli rievocativi, spicca quello del 1 luglio 2010 di Azra Nuhefendic, “Al mercato di Markale” (strage del 28 agosto 1995), in cui si cerca di smentire quanto attestato dai fatti (ma che le cronache, anche successive, si guardarono bene dal riportare), e cioè che le due terribili stragi al mercato di Sarajevo (decisive per orientare l’opinione pubblica internazionale e, di conseguenza, per giustificare i bombardamenti della NATO contro i serbi che stavano vincendo la guerra) non furono opera dei serbo-bosniaci.
L’articolo cita il colonnello russo, Andrei Demurenko, esperto in balistica e capo del personale Unprofor a Sarajevo, estensore di un rapporto che provava l’ impossibilità di colpire Markale con i mortai dalle posizioni serbe (guarda caso la CNN sapeva dell’evento e si trovava lì prima del massacro, ma non era stata “avvisata” dai serbi).Esistono anche degli schizzi tecnici che questo colonnello russo aveva fatto e che vennero inquadrati, al momento della ricostruzione degli avvenimenti, dalla televisione serba.Dopo pochi giorni Demurenko fu però rimandato a casa e la relazione venne nascosta (se la tenne per due settimane Kofi Annan nel suo cassetto privato) il tempo sufficiente per accusare falsamente i serbi e decidere quali ulteriori provvedimenti adottare contro di loro.
Il colonnello russo non può certo negare un documento da lui stesso prodotto e non dubito l’abbia mai fatto, come sostiene Nuhefendic, perché si trattava di un professionista che non accettava di raccontare bugie, al contrario di molti ufficiali della NATO, spesso sbugiardati.Lo stesso analista militare britannico, Paul Bever, che pure raccontò di 4 ordigni di mortaio da 120 millimetri lanciati dai serbi e che caddero vicino alla zona del mercato senza provocare vittime, ammise l’1 ottobre 1995 che la deflagrazione fu cinicamente provocata dai musulmani per influenzare i negoziati di pace.
Probabilmente c’erano cinque pacchi di esplosivo sotto le bancarelle, attivati a distanza, mentre la CNN registrava in diretta.Il “Sunday Times” parlò allora di una quinta granata da mortaio devastante (e non proveniente dalle postazioni serbe), che però difficilmente avrebbe potuto provocare una strage di tali proporzioni.
Invece tutto il mercato fu colpito da più esplosioni che provenivano da vari punti sotto le bancarelle, al punto che lo stesso Bever scrisse che si doveva dubitare anche della precedente strage di Markale (67 morti il 5 febbraio 1994), come testimoniato peraltro dal delegato speciale per la Bosnia delle Nazioni Unite, Jasushi Akashi, poi costretto alle dimissioni.

Da Le verità sulla Bosnia che non si possono raccontare: “Al mercato di Markale”, di Stefano Vernole.

Marchionne e il suo genio

A chiarirci le idee è arrivato tempestivamente Sergio Marchionne, che ha annunciato l’intenzione della FIAT di spostare la propria produzione in Serbia, dove la “tassazione sarebbe minore”.
Non a caso, uno dei rari autori a scrivere con cognizione di causa sulla vicenda kosovara, diversi anni fa notò come: “L’obiettivo mancato di allontanare Milosevic dal potere, non fa che ritardare un programma occidentale che vede nella Serbia un formidabile fornitore di manodopera, oltretutto una manodopera molto qualificata e a buon mercato. Secondo studi recenti, la manodopera serba, con un salario doppio di quello che percepisce attualmente, costerebbe dieci volte meno di quella immigrata in Europa. Inoltre la sua vicinanza con i mercati europei ridurrebbe enormemente le spese di trasporto. In questo modo per il mercato mondiale del lavoro la Serbia diventerebbe molto più appetibile dell’Estremo Oriente” (Sandro Provvisionato, UCK: l’armata dell’ombra, Gamberetti, Roma, 1999).
Come giustamente rilevato nell’ultimo importante discorso tenuto dallo stesso Milosevic, le potenze occidentali fecero guerra al presidente jugoslavo come pretesto per colpire la Serbia e trasformarla in un paese del Terzo Mondo: oggi questo concetto dovrebbe essere chiaro anche a quei lavoratori italiani che nei prossimi mesi verranno lasciati a casa, grazie alle “munifiche” opportunità offerte dalla delocalizzazione produttiva degli stabilimenti FIAT.
Come in un gioco ad incastro, la questione serba e quella del Kosovo e Metohija, in particolare, rappresentano un esempio significativo della strategia globalizzatrice a guida statunitense, che vorrebbe uniformare tutti i popoli del pianeta ai dettami del nuovo ordine mondiale-multinazionale, perché ne riassume le principali motivazioni di carattere economico (dominio del libero mercato), geopolitico (occidentalizzazione del mondo) e militare (influenza atlantista).
Vedremo nei prossimi mesi se le potenze eurasiatiche saranno in grado di bloccare questa offensiva e quali saranno le loro mosse, aldilà delle inevitabili dichiarazioni di condanna per il pronunciamento della Corte giunte in queste ore.

Da La Serbia perde il Kosovo ma guadagna la FIAT, di Stefano Vernole.

Obamismo

Il presidente Obama impazza ai quattro venti sulle reti televisive, compiendo anche qualche gaffe: sappiamo, quando l’attività ferve, che un errore linguistico – come quello sulle Paraolimpiadi – può scappare. Fossero questi i problemi. L’esaltazione è al massimo: quello che non condividiamo è il giocoso ottimismo di Vittorio Zucconi – forse la miglior “penna” italiana negli USA – come se bastasse essere giovane, negretto, simpatico ed atletico per rovesciare decenni di soprusi, interferenze interne nella politica d’altri Paesi, sciagurate scelte economiche, truffe finanziarie, innaturali compari strategici, omissioni climatiche…con in aggiunta una spocchia ed una presunzione senza pari. Quando si hanno le pezze al sedere – caro Barack, caro Vittorio – la prima cosa da fare è un bagno d’umiltà. Lo ha ricordato, con naturale ed estrema semplicità, l’ayatollah Ali Khamenei – massima autorità degli sciiti iraniani – affermando “ho sentito slogan sul cambiamento, ma il cambiamento non si è visto”.
Comprendiamo le “peste” (o “la” peste?) nelle quali si trova impelagato fino al collo il giovane Presidente USA: dopo otto anni di sciagure “targate” Bush, la china da risalire è dura e deve lottare su più fronti, interni ed internazionali. Siccome Barack – nei suoi affetti personali – pare baciato dalla fortuna più di un “galletto” come Clinton o di un “sorvegliato speciale” come Bush, sembra aver dimenticato che, in amore come in politica, ciò che regge al tempo sono i compromessi, il buon senso e le concessioni. I buoni propositi, dopo i tradimenti, lasciano il tempo che trovano. E, di “mogli tradite”, la diplomazia americana ne ha interi harem, sparpagliati nei cinque continenti (non abbiamo notizie di guai dall’Antartide). Più, ovviamente, mogli, fidanzate, compagne ed amanti deluse che si ritrova in casa. E’ proprio di oggi la notizia che un’antica fidanzata – con la quale, nel passato, ci fu baruffa forza 9 – ha sbattuto la porta e se n’è andata, senza nemmeno curarsi dell’argenteria o di chiedere gli alimenti. Il Ministro della Difesa spagnolo, la signora Carme Chacon, Giovedì 20 Marzo 2009 ha annunciato direttamente ai militari spagnoli in Kosovo, appena scesa all’aeroporto di Djakova, che sarebbero tornati a casa

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