Marx è ancora attuale ?

Karl Marx (1818-1883) ha avuto un ruolo di primaria importanza nella storia delle idee e nella storia politica degli ultimi due secoli. Forse nemmeno Jean Jacques Rousseau ha esercitato un’ influenza così duratura.
Soltanto le opere di Charles Darwin e Sigmund Freud hanno condotto a delle trasformazioni altrettanto radicali nella cultura occidentale, sebbene in ambiti diversi dal suo. Nemmeno Nietzsche può, da questo punto di vista, essere paragonato a Marx.
Non è questo l’ambito per discutere sulla identificazione del pensatore di Treviri con i regimi comunisti e totalitari che hanno infestato la storia del Novecento. Senz’altro il lenismo, l’ideologia all’origine della Rivoluzione d’Ottobre (ma anche, successivamente, dei regimi del comunismo asiatico e sudamericano), è stata un’ideologia marxista, una interpretazione del pensiero di Marx. Una delle possibili versioni del marxismo, ma non l’unica. E’ impossibile sapere se Marx avrebbe approvato Lenin.Però la domanda che dopo la caduta del comunismo europeo e sovietico(1989-1991) dovremmo porci è la seguente: Marx è tutto da buttare? O alcuni aspetti del suo pensiero sono validi ancora oggi?

Il merito di Karl Marx è di avere identificato nella “reificazione”, cioè nella riduzione dell’uomo stesso a cosa, a oggetto, l’aspetto centrale della società mercantile (anche se il termine “reificazione verrà coniato dal marxismo successivo). Ed è inoltre quello di aver colto la tendenza del capitale all’espansione illimitata, con conseguente rivoluzione continua dei modi di vita, dei costumi, delle mentalità umane. Questi temi sono ancora attuali, anzi attuali più che mai.
Oltre a questi meriti indiscutibili, il pensiero marxiano è però gravato da una lunga serie di presupposti infondati.
Per prima cosa, l’antropologia marxiana è totalmente errata perché fa coincidere, dai Manoscritti economico-filosofici (1844) in poi, l’essenza dell’uomo con il lavoro. Parte quindi dallo stesso punto di partenza di Adam Smith, cioè del fondatore dell’economia politica e teorico del libero mercato. Sebbene le conclusioni a cui poi giunge Marx siano molto diverse da quelle di Smith, il punto di partenza è lo stesso. Non è quello di Aristotele e nemmeno quello di Hegel. E’ quello del pensiero economicista puro, dell’uomo ridotto a faber, a colui che trasforma il mondo con il suo lavoro e lo manipola tecnicamente. La socialità dell’uomo, la sua politicità innata (Aristotele) è quindi subordinata al lavoro. La sua religiosità, costitutiva dell’umano, come ben sanno gli antropologi, è addirittura negata con argomenti estremamente rozzi (la religione come “oppio dei popoli”).

Un altro aspetto del pensiero di Marx, spesso trascurato, è il suo nichilismo di fondo. Prima ancora di Nietzsche e Stirner, Marx è un convinto nichilista. Nel Manifesto dei comunisti (1848), scritto con Friedrich Engels, afferma che non esistono verità eterne, quindi principi veramente universali. Non scrive solo che i grandi principi sbandierati dalla borghesia del suo tempo non sono realmente universali, ma sostiene molto di più, cioè che non esistono verità eterne, quindi principi davvero universali al di là della contingenza storica nel quale vengono espressi. Dipendono dalla struttura sociale, o meglio economica, sono espressione dei rapporti di produzione sui quali si fonda la società. Sono nient’altro che le idee delle classi dominanti. Se l’affermazione di Marx è corretta, ciò significa che non esistono principi etici (e tantomeno metafisici) razionalmente fondati. Cioè che in ambito morale non esiste alcuna verità oggettiva ed eterna, ma tutto è storicamente relativo. Siamo quindi già nel campo del relativismo, anzi del nichilismo, conseguente al fatto che Marx non solo non crede in Dio, ma non crede nemmeno nella ragione morale, nella capacità della ragione umana di fondare la morale.

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