Gottfried Benn

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La rassegnazione è lo stato d’animo che più ci distingue. Negli ultimi anni abbiamo auspicato una società riformabile, ma ci siamo ritrovati senza idee, senza riforme, senza una realtà politica trasparente. Ci siamo ritrovati orfani. Non ci sono più ‘nuovi ordini’. Neanche alleanze politico-culturali credibili. Ma, in questi momenti storici, il poeta, proprio lui,  ha la possibilità di raccontare il dolore delle illusioni perdute.

 

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Poeti:Nazim Hikmet

Nazim Hikmet. Un nome che avevo dimenticato. Lo ritrovo in una di quelle notti di Puglia quando il caldo sembra fermare il tempo. Cerco infatti qualcosa da leggere. Trovo dei libri. Ogni ospite ha lasciato un ricordo delle sue letture in questa casa. Il dito li scorre e si ferma su un Oscar Mondadori: Poesie d’amore di Nazim Hikmet. Un nome che avevo quasi dimenticato. Del poeta turco avevo trascritto negli anni del liceo alcune poesie nel mio quaderno dove raccoglievo citazioni, frasi, versi che più mi piacevano. Drieu la Rochelle, Brasillach, d’Annunzio, Ezra Pound, Cardarelli…
E alcune poesie di Nazim Hikmet, che così bene si adattavano all’incongruo romanticismo di un giovane presidente della Giovane Italia fiorentina. L’accostamento tra poesia e militanza politica non è contradditorio, ma la comparsa del nome del poeta turco potrebbe esserlo. In realtà quando avevo raccolto quei versi non sapevo chi fosse Nazim Hikmet, era solo un nome esotico. Poi seppi che era comunista. La mia generazione era cresciuta tracciando uno spartiacque tra ciò che era di destra, e cioè buono, e ciò che era di sinistra, e quindi cattivo. Era un giudizio che non si basava sulla lettura, ma sulla fedeltà all’ideologia. La mia, per la parte culturale, si basava sui dettami del Borghese dei primi anni Sessanta, che mio padre portava regolarmente a casa, e quando il Borghese diceva che uno era comunista o antifascista, non c’era prova d’appello. Veniva subito depennato dalle mie letture. E non ero il solo. Facemmo così con Pasolini, Cesare Pavese, Brancati, e anche con gli stranieri, Malraux, Miller, Majakovski, e così via via discriminando, salvo poi, qualche anno più tardi, riscoprirli e leggerli con avidità.

Quando il Borghese puntualmente mi informò che Nazim Hikmet era comunista, ci rimasi male. Come era possibile che uno che scriveva versi così teneri, così dolci, potesse essere comunista? Però non cancellai le sue poesie dal mio quaderno. E in una notte di caldo pugliese, torno a incontrare Nazim. Era nato nel 1902 nella odierna Salonicco. Fu forse il primo poeta turco a scrivere poesia in versi liberi, anche se da giovane si era esercitato nella antica metrica chiusa arabo-persiana, che si esprimeva in ottomano, una lingua che oramai pochi comprendevano.

Il nonno paterno, Nazim Pascià, era stato governatore di varie province ma anche poeta in lingua ottomana. Il padre, Nazim Hikmet Bey, era un alto funzionario e la madre Aisha Dshalila (aveva sangue polacco), che aveva studiato a Parigi, dipingeva e leggeva Baudelaire al figlio. Nazim appartiene dunque a quella Turchia che stava a mezzo tra l’Europa e l’Asia e che si nutriva dei succhi culturali di ambedue. Uscito dall’Accademia di marina, dovrà presto abbandonare il servizio a causa di una malattia.
Nel 1921, insieme ad alcuni amici, passa in Anatolia per unirsi con Mustafà Kemal, che lo invita a scrivere poesie patriottiche. Lo colpisce il personaggio e il suo messaggio di rinnovamento.

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