Affettività postmoderna

Che effetto produrrà nella psicologia degli italiani, e dei più giovani, il fatto che ormai dalla scorsa primavera i principali media dedichino le notizie di testa alle trasgressioni sessuali di leader politici e vip di vario tipo e qualità? A cosa si deve l’esondare della cronaca politica dai propri argini tradizionali, per dilagare nella vita intima dei suoi protagonisti? C’è qualche relazione tra l’irrequietezza sessuale dei politici e la prepotente trasgressività degli adolescenti?
Se è fondata l’osservazione che il parlare troppo e morbosamente di guerra rischia di immettere il virus bellicista nelle popolazioni e nell’opinione pubblica, ci si può chiedere se dilungarsi sull’abitudine dei potenti di frequentare prostitute/i di vari generi sessuali non finisca col suscitare dapprima sconcerto, e poi emulazione, soprattutto nelle fasce “deboli”, dai giovani alle persone dotate di formazioni culturali o affettive più fragili. Chissà insomma se il messaggio: “guardate un po’ i potenti cosa fanno”, non venga percepito come: “se volete far carriera fate così”.
Nell’esperienza psicoterapeutica, ad esempio, si vede chiaramente il formarsi di una forbice, soprattutto tra i giovani. Da una parte le persone più psicologicamente strutturate si mostrano irritate di fronte allo spettacolo presentato dai media, distaccate dalle istituzioni (anche informative, giornali e televisioni), e intenzionate a dotarsi di propri criteri di giudizio, e di un proprio stile di vita, che li ripari da un costume collettivo percepito come scadente, e pericoloso. Dall’altra, soprattutto gli osservatori specializzati nelle categorie deboli e a rischio, segnalano che sempre più frequentemente il successo viene identificato con la deviazione sessuale. Come nel caso di quella madre che ha giustificato con l’intenzione di “aumentare la popolarità e il successo sociale” della figlia undicenne il proprio impegno nell’organizzarle di continuo incontri sessuali con compagni più grandi (che la donna convinceva regalando loro cariche telefoniche ed altri gadget).Il martellare dell’informazione sessuocentrica convince le persone più deboli (spesso anche malate, come nel caso appena citato), che l’avere molti rapporti sessuali fuori da ogni morale riconosciuta, sia la vera chiave per il successo oggi.
Tuttavia ciò può accadere solo per il vuoto che caratterizza ormai la sfera privata e la vita affettiva di molte persone. Per il cittadino della postmodernità, sradicato da appartenenze di classe, di territorio o di fede in gran parte abbandonate, e con un’affettività familiare fragile e provvisoria, sempre sottoposta alla possibilità di un abbandono-separazione-divorzio, la sessualità è rimasta il principale terreno di esperienze emotive. Ma la caratteristica della sessualità separata dall’affetto è quella (come avvertiva già Freud) di lasciare inappagati. Di qui la ricerca di trasgressioni.
Lo scenario ossessivamente descritto dai media nelle loro cronache sui vip, prima e al di là delle varie manovre politiche che pur lo influenzano, è soprattutto la riproduzione dell’affettività postmoderna: una vita privata devastata cui si vorrebbe ansiosamente rimediare con una sessualità sempre più trasgressiva, aiutata da sostanze euforizzanti.
I media non fanno altro che raccontare la paura/desiderio di molti, che nella realtà viene interpretata da alcuni potenti, spiati e poi denunciati dagli avversari politici.
Come già accaduto nella storia, i capi cadono preda delle patologie presenti nell’inconscio collettivo, ed interpretano i deliri in esso diffusi.

Il maschio è debole e la donna divorzia

Una delle convinzioni che accompagnarono il dibattito sull’introduzione del divorzio in Italia era che sarebbe servito soprattutto agli uomini, per liberarsi di spose ormai meno attraenti e non più amate. Lo sostennero anche ambienti cattolici autorevoli, e vi credettero molte donne.
I dati statistici mostrano però una realtà ben diversa: nel 2008 nel 75% dei casi (tre su quattro) la separazione è stata chiesta dalle donne. Una percentuale in rapido aumento: dieci anni fa erano il 65%.
L’Italia non è ormai diversa dagli altri maggiori paesi occidentali, dove a chiedere il divorzio, nella grande maggioranza dei casi, è appunto la donna. Ciò accade, in particolare, nelle situazioni in cui è in vantaggio rispetto al marito, come quando lei lavora e lui è disoccupato, oppure lei ha una cultura e titoli di studio più elevati.
In ogni caso, la percentuale di donne occupate impegnate nel 2007 in vicende di separazioni (65,5%) e divorzi (74,35), è sensibilmente superiore alla media dell’occupazione femminile nazionale, allora al 47%.
Questi dati mostrano come separazione e divorzio vengano utilizzati nel quadro di una crescente sicurezza femminile rispetto all’uomo. Le probabilità dell’uomo di venire lasciato aumentano quando il miglioramento della posizione della donna coincide con difficoltà del maschio, sia nel suo sviluppo formativo e professionale che nelle sue vicende lavorative.
La debolezza maschile spesso si manifesta anche nel carattere gravemente esasperato e infantile delle sue proteste, come nelle aggressioni alle donne che lo hanno abbandonato, seguite a volte da atti suicidali. Lei non vuole vivere con lui, e lui non può accettare che lei viva, né di sopravviverle dopo essere stato lasciato.
Vicende che consentono anche un’altra lettura dei dati statistici: quando lui non è in grado di vivere senza di lei, non ha un progetto ed una consistenza personale, al di fuori della relazione affettiva coniugale, lei si disamora e lo lascia. Una situazione nota allo psicoterapeuta, che osserva in continuazione l’effetto distruttivo dell’instaurarsi della dipendenza nella relazione d’amore. Solo che questa dipendenza, che durante la discussione della legge sul divorzio era ancora un problema soprattutto femminile (almeno in apparenza), oggi appare sempre più spesso una difficoltà degli uomini.
Come in tutte le vicende che riguardano vissuti psicologici e affettivi (ad esempio l’uscita dei figli dalla casa genitoriale, che finalmente sembra abbia smesso di avvenire in età sempre più matura), bisogna guardarsi dallo spiegare tutto con l’economia: è più semplice, ma rappresenta solo un aspetto del fenomeno, e mai il più importante.
Non è tanto il miglioramento della posizione economica delle donne nella società (ancora molto relativo) a spiegare la loro maggiore iniziativa nelle separazioni e divorzi. L’origine del fenomeno va piuttosto vista nell’indebolimento complessivo dell’iniziativa, dell’autorevolezza e anche del fascino maschile, e nella crisi della figura paterna che ne è all’origine.
Dalla fine della prima guerra mondiale in poi, per complesse vicende storiche, politiche e antropologiche, i padri non hanno più trasmesso ai figli un codice, un saper fare ed essere maschile che è andato via via perdendosi. Ciò ha reso gli uomini più confusi e meno attraenti, costringendoli a ricercare una nuova maschilità, autentica, senza più limitarsi ad opporsi all’autoritarismo patriarcale, ma esprimendo una capacità di visione e di azione positiva.
Anche dai risultati di questa ricerca dipenderà il futuro della famiglia italiana.