La grande passionaria………

L’Avvocato Debora Serracchiani è il volto nuovo del Partito Democratico, l’Obama in gonnella che a suon di blog e di accorati appelli alle assemblee del partito è riuscita a conquistare elettori sfiduciati e militanti delusi, facendo culminare la sua cavalcata trionfale nel collegio del Nord-Est delle elezioni europee dell’anno scorso che l’hanno vista balzare dagli scranni del consiglio provinciale di Udine al tanto elefantiaco quanto inutile consesso di Strasburgo. Promoveatur ut amoveatur potrebbe maliziosamente chiosare qualcuno, visto che,

piazzata all’Europarlamento la giovane rampante, la scena nazionale e la dialettica interna al partito sono tornate appannaggio dei vecchi marpioni che continuano a sopravvivere a sé stessi ed alle loro debacle elettorali. Tant’è, la pasionaria friulana cerca di svolgere per benino il compitino che le è stato assegnato e mantenersi sulla ribalta. Per l’appunto di recente ha conquistato quanto meno le prime pagine delle testate locali, avendo guidato assieme all’on. Strizzolo un drappello di esponenti friulani del PD e della cosiddetta società civile alla riconquista della ex caserma Luigi Sbaiz di Visco (UD), che sta per essere alienata a privati e rasa al suolo per far posto a nuove costruzioni. In effetti si tratta di un sito di particolare interesse storico, poiché nella caserma di questo piccolo comune fiulano nei primi mesi del 1943 vennero internati oltre 3.000 civili jugoslavi (parenti di collaborazionisti slavi, congiunti di personaggi compromessi con la lotta partigiana in Jugoslavia in guisa di ostaggi ovvero persone residenti in zone di intensa attività partigiana per sradicare le connivenze), alcuni dei quali morirono durante la detenzione causa le pessime condizioni igienico-sanitarie. Oggi vi è solo una targa a ricordare queste vittime e l’europarlamentare intenderebbe

sfruttare fondi europei destinati al recupero di siti della memoria invece che alienare la struttura, ma il suo sopralluogo non ha potuto avere luogo per cavilli burocratici che hanno impedito l’apertura del sito. Altresì nessuno si è peritato di spiegare che questo, come gli altri campi d’internamento sorti in Italia nel 1941-’43, era dipendente dai vertici del Regio Esercito: se al fascismo può essere imputata la colpa prima dell’entrata in guerra, le responsabilità successive vanno equamente ripartite, poiché i Generali che tali campi d’internamento pianificarono e gestirono la fecero franca a conflitto finito avendo barattato la resa dell’8 settembre con un codicillo dell’armistizio che ne garantiva l’impunità e la non processabilità a guerra finita per quanto da loro commesso nel periodo 1940-’43. Già nell’immediato dopoguerra, allorchè l’Italia chiese alla Jugoslavia di Tito di processare quei personaggi che si erano macchiati di particolari efferatezze nella Venezia Giulia nel drammatico contesto delle Foibe, Belgrado chiese di trascinare a giudizio quei comandi militari che ancor prima misero spietatamente in atto la repressione della guerriglia partigiana, ma la reciprocità non potè scattare proprio per effetto di quel paragrafo armistiziale. Sicchè a Norimberga e a Tokio andavano alla sbarra i massimi rappresentanti dei regimi sconfitti e dei loro eserciti, laddove in Italia i vertici militari la facevano franca mentre “la macelleria messicana” di Piazzale Loreto faceva sommaria giustizia ed una mattanza di pesci piccoli e di gerarchi di provincia insanguinava arbitrariamente il nord del Paese. D’altro canto, è stata portata alla ribalta la tragica storia di Visco proprio a ridosso del Giorno del Ricordo, appuntamento in cui da più parti si riconosce quasi a denti stretti il sacrificio degli italiani nella Venezia Giulia, a Fiume e in Dalmazia negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale e piuttosto ci si sofferma sulle malefatte fasciste che avrebbero “giustificato” la bestiale carneficina titina, addossando però al becero ventennio tutte le colpe, ivi comprese quelle che fanno capo alle Forze Armate. Ed è comunque avvilente vedere un dibattito politico che si ostina a guardare agli eventi di sessant’anni e passa fa (cosa che sarebbe di competenza esclusiva degli storici) e non vuole vedere le situazioni analoghe di oggi (e questo invece è suo precipuo compito). Mentre ci si sofferma ai cancelli di un ex lager, oggi infatti a Gaza ce n’è uno aperto ed efficiente. Esso è gestito non dal vecchio Regio Esercito (oggi Esercito Italiano e ridottosi quasi a manovalanza per le altrui guerre di conquista) bensì da T’sahal; nessun palazzinaro ha intenzione di raderlo al suolo e anzi l’Egitto si sta peritando di irrobustirne il perimetro con un formidabile muro di cinta; mentre la nostra s’indignava per la visita sfumata, laggiù a Gaza suoi connazionali (e non solo) con un carico di aiuti umanitari destinati ai palestinesi segregati venivano respinti ai valichi di frontiera e cercavano invano di sensibilizzare l’opinione pubblica con uno sciopero della fame

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