Archivi giornalieri: 12 agosto 2010
Richard Bona – Liberty City/Black Market – Bass solo
La lunga storia di un flirt eretico
Reputandolo utile a tracciare il profilo, per quanto parziale, d’un prototipo anarco-fascista, converrà seguire, ancora per un attimo, il percorso biointellettuale di Berto Ricci. Partiamo dalla fine. Ricci morì, mitragliato da uno Spitfire, il 2 febbraio 1941 nella guerra d’Africa, dove era voluto andare volontario, vincendo le solite resistenze burocratiche. «Di idee contrarie», lo fu prima, durante e dopo la sua iscrizione al partito fascista. Contrario a tutto per vocazione eretica, etorodossa e per spirito di contraddizione, fu fedele solo alla sua esclusivissima idea di fascismo che gli germinò, intorno al 1927, per semina stirneriana, soreliana e nicciana. Gli ci vollero cinque anni per convincersi del suo destino e altri due per ottenere la tessera. Ma quel che era nel suo Dna, alla fine emerse. Il gioco che più lo appassionava era lasciar zampillare scintille dall’accostamento violento delle idee in libera contraddizione. Anarchico e antinazionalista ma per l’impero: «che realizzerà la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini»; anticapitalista ma per l’evoluzione del proletariato in proprietari; per una tradizione civile ma «arricchita di millenaria cristianità, sostanzialmente e robustamente pagana»; realista, in antitesi all’idealismo di Gentile, ma utopista; anticomunista ma «l’antiroma non è a Mosca è a Chicago: la capitale del maiale» perché «la rivoluzione comunista ha fatto bene a se stessa»; fascista di sinistra ma non ostile a quello di destra, perché «il nemico numero uno, fu e resta il centro, cioè la mediocrità accomodante. Il centro è compromesso, noi siamo l’affermazione simultanea degli estremi, nella loro totalità».
Poca roba, si dirà: la vicenda di uno scrittore un po’ stravagante non può invalidare una consolidato pregiudizio antitetico dei due poli in questione. Tanto più se si considera dove vanno a parare in via definitiva i due percorsi: in “nessuno stato”, l’anarchia, e addirittura nello “stato etico”, il fascismo. Iato che però si accorcia se consideriamo le cose da un punto di vista ontologico: entrambe le scuole predicano l’assunzione diretta delle responsabilità dell’azione individuale e il primato dell’azione sulla teoria. E proprio qui scatta il corto circuito che brucia le distanze e produce quel flirt che consentirà a Ricci e ad altri anarchici di indossare la camicia nera e farsi agenti della rivoluzione fascista. Citerò solo alcuni dei casi più illustri. Accadde all’artista e poeta Lorenzo Viani, anarchico della compagnia di Errico Malatesta, che partì progettando una Repubblica sociale dell’Apuania e continuò la sua milizia politica da squadrista. Accadde a Leandro Arpinati che, prima di cadere in disgrazia presso Mussolini, fu importante gerarca del regime. Si definiva anarchico Giovanni Papini, e conosciamo il suo percorso ulteriore. Lo era pure Marcello Gallian che, ancora col fiocco nero dell’anarchia al collo, fu tra i fascisti della prima ora in Piazza San Sepolcro a Milano, legionario dell’impresa fiumana e, tre anni dopo, marciatore su Roma, rimanendo sempre, però, quel dannato sovversivo che era. Erano tutti ciechi, tanto da non vedere le differenze e talmente stupidi da non accorgersi della contraddizione? Proprio Marcello Gallian, a chi gli chiedeva i motivi della sua “conversione” rispose: «Non sono adatto a conversioni. Io ho creato un Cristo per me, ho creato un Mussolini per me, ho creato un mondo rivoluzionario tutto per me, secondo i miei punti di vista necessari e sinistri». Non vi sembra sentire riecheggiare nelle parole di quest’altro anarco-fascista a tutto tondo quelle del riconosciuto padre dell’anarchia tout court? Quel Max Stirner che ne Der Einzige und sein Eigentum (L’unico e la sua proprietà), pubblicato a Lipsia nel 1844, affermava: «Il mio potere è la mia proprietà, il mio potere mi dà la proprietà. Io stesso sono il mio potere… e per esso sono la mia proprietà».