Popoli “progrediti”

La società contemporanea si basa sulla convinzione che l’uomo possa dominare la natura grazie alle sue facoltà razionali. Esiste tuttavia una profonda differenza tra razionalità e intelligenza. La razionalità è solo una componente dell’intelligenza umana, riflesso, quest’ultima, di qualcosa di più vasto e di più alto, che permea la vita in ogni sua manifestazione.
È attraverso l’intelligenza che l’essere umano avverte e comprende la dimensione del sacro. Parte essenziale dell’intelligenza umana è la sensibilità, ossia quella facoltà che ci permette di ritrovare, come ogni altra specie, la sintonia con i ritmi profondi della natura e di intuire ciò che non può essere razionalmente spiegato.
L’intelligenza ha a che fare con la totalità e, quindi, con l’armonica presenza, in ognuno di noi, del principio maschile e del principio femminile: nell’intelligenza coesistono tanto il momento passivo dell’ascolto e del silenzio, quanto il momento attivo della scelta e dell’intervento. Questo significa anche che l’intelligenza partecipa della dimensione collettiva, in cui ciascuno si riconosce come parte di qualcosa di più vasto e partecipa alla trama della vita nella sua interezza, fatta di modelli, archetipi e simboli, da un lato, di cicli, suoni e ritmi, dall’altro.
La razionalità è, invece, la capacità di elaborazione logico-matematica e di previsione a partire dai dati acquisiti con l’esperienza. Essa è espressione solo parziale dell’individuo ed è determinata da una serie di condizionamenti, fra cui spicca quello sociale. Aver attribuito alla razionalità un valore talmente elevato da farne l’unica guida dell’attività umana, ha comportato una serie di gravi conseguenze. Innanzitutto, si è verificata la rottura dell’intima relazione esistente fra umanità e natura; si è assistito alla perdita, da parte dell’individuo, del senso immediato di appartenenza alla più ampia comunità naturale; infine, si è imposta una misura del valore dell’individuo basata sul concetto di utilità, nei confronti di una società umana “razionalizzata”.
Può così instaurarsi un rapporto di dominanza, che continuamente si produce, dell’artificiale sul naturale, del materiale sullo spirituale, dei popoli “progrediti” sui popoli la cui cultura continua a basarsi sull’integrazione dell’uomo con la natura.

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Il grande banchetto del Ponte

Del progetto esecutivo non c’e ancora l’ombra, i soldi bastano appena per sventrare colline e riempire cave e discariche con milioni di metri cubi d’inerti, ma sull’affaire del Ponte sullo Stretto planano come avvoltoi le grandi e piccole università di Calabria e Sicilia. Dopo aver ignorato per decenni il dibattito sui costi politici, economici, sociali, ambientali e criminogeni della grande opera, abdicando alle proprie finalità istituzionali di analisi e ricerca, gli Atenei sgomitano tra loro per accaparrarsi qualche briciola delle risorse finanziarie pubbliche impegnate per l’avvio dei lavori del Ponte. Con un comunicato congiunto, le Università di Enna, Palermo, Reggio Calabria e Catania hanno preannunciato che «si mobiliteranno insieme per contribuire ad affrontare la grande sfida che vede protagonisti, non solo ingegneri e architetti, ma studiosi di molteplici ambiti». Voci autorevoli rivelano che già sarebbe stato sottoscritto un contratto di 800 mila euro tra il Consorzio delle Università siciliane ed Eurolink, l’associazione d’imprese general contractor per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, finalizzato a distribuire«migliaia di test e misurazioni sui provini di cemento armato tra tutte le Università siciliane».
In perfetta sintonia con l’obiettivo di rafforzare la fabbrica del consenso implementata da signori e padrini del Ponte, Aurelio Misiti, portavoce nazionale dell’MPA, ha annunciato la presentazione di alcuni emendamenti alla manovra economica in discussione al Parlamento, per un totale di 100 milioni di euro, che prevedono la realizzazione di due grandi laboratori scientifici situati a Messina e a Reggio. Il primo, di Scienza e tecnologia dei nuovi materiali, da affidare a un consorzio delle tre Università siciliane con la “Sapienza” di Roma e il secondo, di Aerodinamica e aeroelasticità, destinato a un consorzio delle tre Università calabresi con il Politecnico di Milano. Insomma, ce ne sarebbe per tutti, anche se ciò allarma classi dirigenti e accademici dell’area dello Stretto, preoccupati di perdere la leadership su contributi e commesse. Per spegnere sin dal nascere obiezioni e proteste, la società concessionaria del Ponte ed Eurolink hanno precisato di essere intenzionate a stabilire una «collaborazione privilegiata» con i due Atenei di Messina e Reggio Calabria. E i primi discutibili risultati non mancano. È di qualche giorno la notizia della firma di un contratto di locazione di un intero edificio del polo scientifico universitario “Papardo” di Messina, per ospitare l’head office, ovvero la sede delle direzioni generali della Stretto di Messina Spa, del general contractor e delle società impegnate nel monitoraggio ambientale e nel “project management” del Ponte (Fenice Spa e Parsons Transportation Group).
La struttura che si estende su un’area complessiva di 4.400 mq, comprende in particolare l’“Incubatore d’Imprese” finanziato e realizzato con i fondi della legge 208 del 1998 riservati «agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse». Grazie ad una convenzione siglata 7 anni fa dall’allora rettore Gaetano Silvestri, l’incubatore fu concesso in uso a Sviluppo Italia Sicilia, ente acquisito recentemente dalla Regione Siciliana che è pure azionista di minoranza della società concessionaria del Ponte. Secondo il testo della convenzione, a Sviluppo Italia veniva affidato non solo la gestione, ma anche il completamento, con fondi dell’ente, del “Parco tecnologico” di contrada Papardo con l’obiettivo che fosse destinato all’ospitalità di spin-off industriali derivanti dalla ricerca scientifica. Nei piani di allora, la contiguità dell’incubatore con le facoltà tecnologiche avrebbe facilitato lo sviluppo di attività innovative e tecnologicamente avanzate, dotando l’Ateneo di una struttura unica nel panorama centro-meridionale. Dopo il rinnovo dei vertici accademici e l’entrata in scena dell’odierno rettore Giuseppe Tomasello, il progetto fu abbandonato sino a quando, due anni fa, Invitalia Spa, la nuova Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, avviò i lavori di restauro e di adeguamento funzionale dell’infrastruttura. Secondo quanto annunciato dalla Stretto di Messina, l’inaugurazione e l’attivazione all’interno del polo universitario del quartier generale delle società che concorrono alla realizzazione del Ponte dovrebbe avvenire entro la fine del mese di luglio.

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IL BUSINESS NASCOSTO SOTTO LA MACCHIA DI PETROLIO DI BP

DI MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net

Nella rubrica di oggi potevo parlarvi di Borsa, volatilità, crisi del debito, collocazione di bonds governativi e quant’altro: lo abbiamo fatto fino a oggi, riprenderemo a farlo dalla settimana prossima.

Quest’oggi parliamo della marea nera scatenata dal guasto all’impianto di British Petroleum nel Golfo del Messico, una tragedia ambientale che da settimane riempie pagine di giornali e le headlines dei principali tg. Per una volta non sembrano esserci dubbi nell’identificazione di buoni e cattivi: i primi sono i dirigenti della Bp, il secondo è Barack Obama che, dopo aver promesso di prendere a calci nel sedere i responsabili e passato ore a parlare con i pescatori della Louisiana, ieri ha mostrato una faccia ancor più dura.

I vertici dell’azienda petrolifera britannici, infatti, sono stati accolti con freddezza glaciale alla Casa Bianca e nonostante abbiano dato l’ok all’esborso di 20 miliardi di dollari per ripagare i danni causati, si sono sentiti rispondere dal numero uno della Casa Bianca che quella cifra «non rappresenta il tetto massimo». Ovvero, preparatevi a scucire molto altro denaro, ormai siete sotto scacco non mio ma dell’intero pianeta che vi odia a morte.

Sembra il film “Wag the dog”, una creazione mediatica straordinaria. Sono bastate, infatti, le immagini di quattro pennuti con le ali impiastrate di greggio e tre interviste ad altrettanti esperti pronti a proclamare la morte dell’oceano, per chiudere completamente gli occhi del mondo al molto altro che sta dietro alla vicenda che vede prootagonista la piattaforma Deepwater Horizon.

Lasciate stare che il paladino del mondo, ovvero Barack Obama, non più tardi di quattro mesi fa aveva autorizzato trivellazioni offshore anche nel “giardino delle rose” della Casa Bianca per non dipendere più dalla bizze ricattatorie dell’Opec e della speculazione otc sui futures, salvo ora trasformarsi nel Fulco Pratesi di turno, il problema è altro: che quell’incidente sarebbe accaduto lo si sapeva da mesi e mesi, era questione di tempo. Anzi, di timing visto che le implicazioni sono anche – e forse soprattutto – economche e finanziarie: prima delle quali, uccidere Bp, renderla scalabile e ottenere a prezzo di saldo le sue attività estrattive.

Cominciamo dal principio. La Deepwater Horizon, carta canta nei documenti ufficiali, è stata classificata fin dall’inizio della sua attività un progetto potenzialmente soggetto ai cosiddetto “low probability, high impact event”, classificazione che vede tra gli altri incidenti occorsi l’11 settembre, l’esplosione dello Shuttle e l’uragano Katrina: come per questi casi, l’ipotesi di “worst case scenario” è stata completamente ignorata. Con dolo o meno, lo scopriremo dopo.

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