La morte della cartamoneta

Mentre si preparano per la lettura estiva in Toscana, i banchieri della City stanno facendo incetta delle rare copie di un testo oscuro sulla meccanica dell’inflazione durante la Repubblica di Weimar pubblicato nel 1974.

Ebay offre un volume letto e riletto di ‘Dying of Money : Lessons of the Great German and American Inflations’ ad un prezzo d’offerta iniziale di $699 dollari (senza spese di spedizione… grazie tante).

Il punto cruciale arriva al capitolo 17 intitolato ‘Velocity’. Ogni grande inflazione — sia quella dei primi anni ’20 in Germania, che quella della guerra contro la Corea o il Vietnam negli Stati Uniti — inizia con un’espansione passiva della quantità denaro. Che rimane inerte per un periodo sorprendentemente lungo. I prezzi delle azioni possono salire, ma l’inflazione latente dei prezzi è camuffata. L’effetto è simile a quello di una ricarica per accendini su un falò prima che sia stato ancora acceso il fiammifero.

La volontà delle persone di detenere il denaro può cambiare improvvisamente per una ‘ragione psicologica e spontanea’, provocando una punta della velocità [di circolazione] monetaria. Invariabilmente, i cambiamenti colgono gli economisti di sorpresa. Aspettano troppo per drenare l’eccesso di denaro.

‘La velocità è salita quasi ad angolo retto nell’estate del 1922’, ha detto il sig. O Parsson. I funzionari della Reichsbank erano perplessi. Non riuscivano a capacitarsi del perché i tedeschi avessero iniziato a comportarsi in modo diverso quasi due anni dopo che la banca aveva già aumentato la fornitura di denaro. Sostiene che la pazienza del pubblico è saltata di colpo nel momento in cui la gente ha perso fiducia ed ha incominciato a ‘sentire puzza di bruciato nel governo’.

Qualcuno sorride di fronte alla ‘sorpresa’ della Banca d’Inghilterra per il recente aumento dell’inflazione in Gran Bretagna. Dall’altra parte dell’Atlantico i critici della Fed dicono che la crescita della base monetaria degli USA da $871 bilioni di dollari a $2024 bilioni di dollari in due soli anni è una pira incendiaria che prenderà fuoco non appena la velocità del denaro negli USA tornerà alla normalità.

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Musica, Etica, Tonos o Proporzione

Il pensiero di [Matthias] Rieger ha un’importanza centrale in ciò che dirò adesso. Se noi consideriamo la sua ricerca musicologica, la storia della musica occidentale appare come un riflesso di diversi cambiamenti che si sono prodotti in diverse parti della società europea. […]

I Greci avevano il concetto di tonos che si può intendere come “giusta misura”, “ragionevolezza” oppure “proporzione”. […] Si vede chiaramente che, se il benessere comune non è costruito su un tonos – una certa tensione, una proporzione fra gli umani e la natura – l’idea di tassa energetica, con altre soluzioni economiche alternative, si trasforma in utilitarismo adattivo, in amministrazione tecnica orientata ai sistemi o in pettegolezzi diplomatici sull’ambiente.

Un centinaio di anni prima della Rivoluzione Francese si è cominciata a perdere la nozione di proporzione come idea direttrice o di orientamento, come la condizione per trovare il proprio status fondamentale. Fino ad oggi, non si è quasi notata questa sparizione culturale. La corrispondenza fra alto e basso, destra e sinistra, macro e micro è stata intellettualmente ammessa, con la conferma dei sensi, fino alla fine del XVII secolo. La proporzione era anche un principio direttivo per l’esperienza del proprio corpo, degli altri e dei rapporti fra i generi. Lo spazio era generalmente compreso come un cosmo familiare. E il cosmo significava quell’ordine di rapporti nel quale le cose sono originariamente collocate. Per indicare questa relazione, questa tensione o inclinazione delle cose l’una verso l’altra, il loro tonos, non abbiamo più una parola oggi. Non ci si sa nemmeno immaginare l’esperienza di Dante, all’uscita dell’inferno, che si rallegrava dell’armonia di quattro nuove stelle, essendo entrato nel regno della giustizia, della temperanza, della forza d’animo e della prudenza (Purgatorio, I). Ai nostri giorni, si è imprigionati nel simbolo positivista di un paradigma scientifico.

{da “La saggezza di Leopold Kohr”, di Ivan Illich, in La perdita dei sensi,
2009, Libreria Editrice Fiorentina, stralci di Marco Sicco}

Il piacere di isolarsi

Quando la vita di relazione assorbe tutta l’energia, è tempo di addentrarsi nel bosco protetto di Artemide e di lasciare che la natura prenda il posto delle relazioni umane.

Mi sembra che ci sia un legame molto evidente fra una vita di relazione ricca e il bisogno di rifugio in un luogo solitario, dove l’ego non riceve più stimolazioni.

Secondo la mia esperienza personale, la solitudine non mi è sembrata importante se non durante e dopo cinque anni di attività comune intensa e nutriente, paragonabile a una dinamica di gruppo durata 43.800 ore! Nel corso di questa esperienza, il bisogno di solitudine era associato a un sentimento di essere sufficientemente “nutrita” di relazioni, ossia che più il bisogno di familiarità e di relazione era profondamente appagato, più la solitudine diventava vitale e gradevole. Quando quell’esperienza ebbe termine, mi ci volle, per “digerire” tutta l’avventura, un anno completo di vita solitaria ad ascoltare il vento fra gli alberi e il crepitio del fuoco nel caminetto, prima di ritrovare il desiderio di relazioni umane.

Non perché avessi avuto una “indigestione” di relazioni umane intense, ma perché l’intensità del ricordo mi bastava. Lo stesso bisogno di solitudine si è ripetuto qualche anno più tardi, quando i miei due figli furono in grado di essere indipendenti e io provai il bisogno d’isolarmi (per meno tempo ma più spesso), godendo ogni volta di non sentire pronunciare il mio nome per qualche giorno. Questi ritiri benefici non devono essere confusi con, il ripiegamento depressivo, perché la solitudine arreca allora una gioia che non ha nulla a che vedere con il vuoto e la carenza affettiva

Dal libro “La grazia pagana”